DIBATTITO RIPENSARE GLI ORDINAMENTI SCOLASTICI: Ma il problema è la Governance
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di Giorgio Allulli

L’articolo risponde  alla proposta di riforma degli ordinamenti scolastici presentata su questo sito il 22 giugno 2020.  Per accedere all’articolo che ha avviato il dibattito cliccare QUI

Le tematiche qui trattate in modo sintentico saranno affrontate dall’autore in modo approfondito nel prossimo numero della rivista scientifica Scuola Democratica (n.2-2020). Per accedere ai numeri della rivista Scuola Democratica, clicca QUI .

 

Obiettivo di fondo dell’articolo di Luciano Benadusi e Vittorio Campione  (l’articolo è leggibile per intero cliccando QUI) è riavviare un dibattito sulla riforma complessiva del sistema scolastico italiano che è fermo ormai da diversi anni, dopo i tentativi falliti dei progetti di riforma di Berlinguer prima e di quello successivo (seppure parziale) della Moratti.

Ma è veramente questo ciò di cui ha bisogno oggi la scuola italiana? Ha bisogno di una riforma a tutto tondo che porti a riconsiderare i suoi ordinamenti ed i suoi programmi? Io credo di no; casomai ha bisogno di una forte capacità di governo e gestione, un governo ed una gestione che sia in grado di valorizzare le eccellenze, eliminare gli enormi squilibri esistenti, avviare finalmente un processo di reclutamento serio, ecc. ecc.

Perché affermo che il problema non sta negli ordinamenti? Perché, se così fosse, dato che gli ordinamenti sono uguali per tutti, il sistema scolastico del Nord Italia dovrebbe ottenere risultati negativi o comunque non di eccellenza. Invece gli alunni veneti e trentini ottengono risultati alla pari delle migliori scuole europee.

La realtà è che abbiamo (quantomeno) due sistemi scolastici:

  • c’è un sistema che con questi ordinamenti, con questi programmi, con questi insegnanti, funziona molto bene, a livelli di eccellenza mondiale;

  • ed una sistema che con gli stessi ordinamenti, con gli stessi programmi ed insegnanti formati allo stesso modo (anzi per certi versi ancora più selezionati) funziona molto male.

Sicuramente il contesto locale ha il suo peso, ma è innegabile che gli ordinamenti attuali non siano da rifare da capo, altrimenti non sarebbe possibile conseguire i risultati di eccellenza che ottengono gli studenti del settentrione.

Allora, perché riaprire il dibattito su riforme palingenetiche del sistema, con il rischio di distogliere l’attenzione da una governance quotidiana, questa sì, veramente disastrosa?

A mio avviso il punto di partenza di ogni ragionamento sul futuro del nostro sistema scolastico deve essere proprio questo: come mai si verificano questi profondi divari tra le diverse aree del Paese? Come intervenire su questi squilibri e far sì che gli studenti siciliani, o calabresi ecc., ottengano perlomeno gli stessi risultati degli studenti veneti?

Il problema non risiede negli ordinamenti e nei programmi, che sono uguali per tutti (anche se ovviamente non escludo che siano necessari degli interventi in proposito, non voglio affermare che sia tutto perfetto), ma nell’applicazione e nella gestione di questi ordinamenti e di questi programmi a livello centrale ed a livello territoriale. In una parola, il problema risiede nella mancanza di una governance a livello nazionale e territoriale.

Qualche esempio?

  • E’ stata eliminata dal territorio qualunque struttura intermedia di supporto professionale all’attività scolastica; una volta esistevano a livello locale i Centri didattici, che sono stati poi aboliti per essere sostituiti a livello regionale dagli Irrsae, che sono stati poi aboliti per essere sostituiti dall’Indire, ovvero una struttura nazionale che lavora seguendo le sue traiettorie di ricerca e si interfaccia con le scuole solo sulla base di queste opzioni.

  • E’ stato praticamente azzerato il corpo ispettivo, che una volta svolgeva, oltre a compiti burocratici, attività di assistenza e stimolo alle scuole, così come avviene in Francia, Inghilterra, in Olanda, Repubblica Ceca e tanti altri Paesi europei.

  • Sono stati aboliti i provveditorati, dove si consolidava la conoscenza approfondita di quello che succedeva nei vari punti del sistema locale.

  • Sono state cancellate le direzioni ministeriali deputate a seguire l’andamento dei vari ordini ed indirizzi di scuola: oggi non esiste più la Direzione dell’Istruzione tecnica o professionale dove, come disse un antico direttore MPI, si conoscevano nomi, cognomi e miracoli di tutti i Presidi dell’ordine.

  • E’ al palo l’attività di valutazione esterna delle scuole, che poteva essere la premessa, insieme all’autovalutazione, per l’individuazione di aree di difficoltà ed aree di eccellenza sulle quali intervenire con iniziative mirate.

  • Vivono una vita molto stentata i Poli tecnico-professionali, che potevano dare una risposta interessante all’esigenza di creare sinergie sul territorio tra scuola, formazione professionale, Università e Impresa.

  • Non è stato neanche condotto un monitoraggio serio, al di là delle retoriche parole di apprezzamento, su quello che è realmente successo in questi mesi nelle scuole, per capire come gli insegnanti hanno saputo rispondere alla sfida della formazione a distanza, e come l’hanno recepita gli studenti, con quali motivazioni e quali attrezzature; monitoraggio che avrebbe dato indicazioni utilissime per attrezzarsi adeguatamente nella fase di riapertura delle scuole.

Con queste premesse è difficile stupirsi che il sistema, già differenziato in passato, sia praticamente esploso oggi, con i risultati che conosciamo. Questo spiega (anche) gli squilibri attuali tra le aree e le scuole del Paese. Non esiste più una gestione del territorio.

Poi, mentre nel Nord alla scomparsa delle reti istituzionali centrali ha fatto riscontro il rafforzamento della cultura delle istituzioni locali, sia di quelle regionali che di quelle della vitalità civile ed economica distrettuale, nel Sud questo è in buona parte mancato, tranne alcune lodevoli eccezioni. E questo spiega (anche) i buoni risultati conseguiti nelle Regioni settentrionali.

La scarsissima capacità di gestione strategica del sistema non è un problema di oggi; l’esempio più clamoroso proviene dall’”epocale” riforma della scuola media, che, a fronte di un significativo impegno politico progressista (fu uno dei primi banchi di prova della nascita del nuovo centrosinistra), venne introdotta senza prevedere adeguati meccanismi di controllo delle modalità della sua attuazione; e così quella che doveva essere la nuova scuola media unica, in grado di assicurare a tutti gli alunni l’acquisizione delle conoscenze e competenze di base, senza più differenziazioni di carattere sociale o territoriale, lasciò sul terreno, negli anni successivi alla sua introduzione, milioni e milioni di giovani (certamente provenienti dai ceti meno avvantaggiati) che abbandonarono senza licenza media; sono stati necessari trent’anni dall’introduzione della riforma per ottenere che almeno il 95% dei ragazzi riuscisse a frequentare realmente questo percorso fino al termine ed a conseguire la licenza di scuola media; senza considerare inoltre i dislivelli qualitativi estremamente elevati tra regione e regione, tra città e campagna, tra Nord e Sud, tra scuola e scuola, che si registrano ancora oggi. Tutto questo senza nessun meccanismo di controllo da parte degli amministratori e dei policy makers “progressisti” di allora, nonostante le varie segnalazioni delle forti criticità sottostanti all’introduzione della riforma1.

Ma non è solo la governance del territorio ad essere carente. La governance di sistema presenta falle se possibile ancora più preoccupanti. Basti pensare:

  • All’incapacità di gestire un ordinato processo di reclutamento del personale docente che, dopo la lodevole eccezione del concorso indetto dalla legge 107/2015, è tornato a funzionare a colpi di stabilizzazione. Se non si riesce neanche a selezionare i docenti, come si può parlare di qualità della scuola? E quale testimonianza di rispetto e valorizzazione del merito si dà agli studenti, se i loro insegnanti vengono assunti tutti senza concorso, solo per anzianità di servizio?

  • All’incapacità di gestire un ordinato processo di mobilità del personale; quasi un terzo di insegnanti cambia scuola ogni anno, con tanti saluti alla continuità didattica; il fenomeno poi si aggrava nelle aree più difficili, dove la rotazione dei docenti è maggiore, mentre maggior bisogno ci sarebbe di una presenza stabile di insegnanti motivati e ben preparati.

  • Per non parlare del processo di stop&go che ha caratterizzato tutta la politica di collegamento tra scuola e mondo del lavoro: pensiamo a come è stata depotenziata l’alternanza scuola lavoro, dimezzata e riconvertita agli impronunciabili PCTO, agli ITS, le cui iscrizioni rimangono confinate a livelli omeopatici, nonostante i loro più volte proclamati buoni risultati, al dualismo irrisolto tra Istruzione professionale e IeFP, nonostante la riforma del 2017, all’apprendistato di primo livello, che è praticamente in coma.

Se la situazione è questa, e temo sia difficile contestarlo, il dibattito sulla riforma degli ordinamenti mi sembra, quantomeno, sovrastrutturale. Al di là delle osservazioni fatte in precedenza, e ammesso che un giorno si riesca a condurre in porto una riforma del genere (ma gli esiti dei precedenti tentativi di riforma condotti nel secolo scorso non sono certo incoraggianti), si aggiungerebbe ulteriore stress ad un sistema già molto stressato, sottraendo tempo e risorse alla necessità di affrontare il vero nodo delle difficoltà del sistema, ovvero l’incapacità di governo e gestione strategica.

Gestione strategica significa avere una cognizione precisa e dettagliata dell’andamento del sistema nei suoi vari aspetti (risultati scolastici, impatto sul mondo del lavoro, passaggi tra sistemi, dispersione, continuità didattica, ecc. ecc.) e nelle sue varie componenti territoriali, definire obiettivi concreti di sviluppo con il coinvolgimento dei diversi stakeholders, monitorare l’attuazione delle diverse iniziative e valutare i risultati, riformulare l’intervento sulla base dei risultati conseguiti; insomma un percorso fortemente diverso dalla consuetudine vigente di emanare provvedimenti per tamponare le emergenze o per rispondere a qualche sollecitazione estemporanea, smentendoli qualche mese dopo, senza aver effettuato nessuna verifica seria del loro impatto. La gestione strategica richiede policy makers in grado di traguardare obiettivi a medio-lunga scadenza resistendo alle pressioni delle lobbies, amministratori accorti, in grado di gestire puntualmente il sistema nelle sue varie componenti, ed il coinvolgimento di molteplici stakeholders. Se manca una visione d’insieme di governo del sistema, ogni iniziativa è destinata a rimanere appesa al filo della precarietà e della provvisorietà. Il discorso è molto complesso, esistono molti aspetti da prendere in considerazione, ma solo per fare qualche esempio si dovrebbe:

  • Approfondire le cause della differenza tra le diverse aree del Paese, e sostenere più significativi processi di riequilibrio; ad esempio si potrebbero introdurre “Contratti d’area”, sull’esempio francese e inglese, assegnando degli obiettivi di sviluppo e miglioramento a ciascun territorio.
  • Ricostituire presidi territoriali di supporto alla qualità del sistema ed un corpo ispettivo degno di questo nome, per qualità e quantità, con funzioni di assistenza tecnica alle scuole.
  • Potenziare l’attività di valutazione esterna delle scuole, attuando compiutamente le previsioni del DPR 80/2013, non per premiare o punire, ma per valorizzare le eccellenze (che potrebbero diventare benchmark di sistema), individuare le situazioni di difficoltà ed attuare interventi compensativi e di sostegno.
  • Ricostituire una Direzione degli indirizzi tecnico e professionale, per rafforzare le attività di raccordo tra scuola e mondo del lavoro, con il coinvolgimento sistematico delle Parti sociali e l’interlocuzione efficace con le Regioni.
  • Avviare un serio processo di selezione del personale docente, basato su concorsi condotti a scadenze regolari e regolare la mobilità del personale, anche premiando chi permane nelle aree di maggiori difficoltà.

Si tratta solo di esempi e l’elenco potrebbe essere lungo; la costruzione di una governance di sistema non si realizza in un giorno. Occorre inoltre tener presente che il come è forse ancora più importante del cosa. Tuttavia, come diceva Lao Tse, ogni lungo viaggio comincia con un piccolo passo: tutto sta che vada nella direzione giusta.

1 Su questo puntoè d’obbligo ricordare Lorenzo Milani (1967), Lettera ad una professoressa, Ed. fiorentine, Firenze, ma si possono citare ancheBarbagliDei. (1969): Le vestali della classe media, il Mulino, e G. Allulli (1984), Scuola media: Unica non vuol dire uguale”, Scuola Democratica, n. 4, Marsilio ed.. Inoltre tutte le ricerche sugli apprendimenti segnalano che l’unicità curricolare del percorso della scuola media non garantisce affatto il possesso dello zoccolo minimo di conoscenze e competenze da parte di tutti gli alunni che conseguono la licenza.

 

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