DIBATTITO EDUCAZIONE CIVICA ORA – Si’ all’educazione alla cittadinanza, no a “educazione civica”
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di Giovanni Cominelli

[l’articolo che segue risponde alla chiamata al dibattito EDUCAZIONE CIVICA ORA. Per vedere l’articolo di avvio del dibattito e i contributi giunti in riposta clicca QUI]

 

1. Con la Legge n. 92 del 20 agosto 2019 è stato approvata l’introduzione dell’insegnamento trasversale di 33 ore annuali di educazione civica, nel primo e nel secondo ciclo di istruzione. L’art. 1 recita: “L’educazione civica contribuisce a formare cittadini responsabili e attivi e a promuovere la partecipazione piena e consapevole alla vita civica, culturale e sociale delle comunita’, nel rispetto delle regole, dei diritti e dei doveri”. L’art. 2 prosegue: “L’educazione civica sviluppa nelle istituzioni scolastiche la conoscenza della Costituzione italiana e delle istituzioni dell’Unione europea per sostanziare, in particolare, la condivisione e la promozione dei principi di legalita’, cittadinanza attiva e digitale, sostenibilita’ ambientale e diritto alla salute e al benessere della persona”. L’art. 3 squaderna una lunga enciclopedia degli oggetti dell’insegnamento: sviluppo sostenibile, cittadinanza digitale, diritto al lavoro, tutela del patrimonio ambientale, delle identità e delle produzioni ed eccellenze territoriali e agro-alimentari, educazione alla legalità e contrasto alle mafie, valorizzazione del patrimonio culturale e dei beni pubblici comuni, protezione civile, educazione stradale, rispetto delle persone, degli animali, della natura, educazione sanitaria, elementi di pronto soccorso, volontariato e, si intende, la Costituzione italiana…

Per la storia, fu Aldo Moro a introdurla con il D.P.R. n. 585 del 13 giugno 1958 nelle scuole medie e superiori: 2 ore al mese obbligatorie, affidate al professore di storia, senza dare voti. Nell’anno scolastico 2010/2011 Maria Stella Gelmini ne cambiò il nome in “Cittadinanza e costituzione”, precisandone e dilatandone gli ambiti: educazione ambientale, stradale, sanitaria (regole basilari del Pronto soccorso), alimentare e Costituzione italiana. La decisione coronava due anni di sperimentazione relativa, con 1 ora settimanale all’interno delle materie di storia e geografia, in attuazione della Legge 30 ottobre 2008, n. 169, che convertiva il Decreto-legge del 1º settembre 2008.

L’assenza di Linee guida, che erano in corso di elaborazione con Fioramonti, rende incerta, almeno per ora, l’applicazione della legge, in un sistema che oscilla costantemente tra centralismo amministrativo ottuso e timide autonomie anarchiche. Per di più il Covid-19 ha costretto la didattica dentro i canali della DaD, nella quale l’Educazione civica è stata vittima dalla riduzione generale del flusso dei contenuti.

Chi la propone muove dalla constatazione che molti nostri ragazzi escono dalle scuole, senza aver acquisito le competenze disciplinari e le competenze trasversali di base, la cui sintesi dovrebbe consentire l’esercizio concreto della cittadinanza. Sorge, tuttavia, una domanda: se la didattica, così come è ora organizzata, lungo 900/1000 ore annuali, stenta a fornire le competenze disciplinari fondamentali e le competenze trasversali – a tal punto che una quota di neo-diplomati va ad ingrossare da subito le file dell’analfabetismo funzionale, ormai giunto al record europeo del 30% della popolazione – perché mai un coriandolo di 1 ora alla settimana, ritagliato dalle pre-esistenti 900/1000 ore, dovrebbe riuscirci?

2. In realtà, proprio l’Art. 3, che moltiplica gli oggetti dell’Educazione civica, ne segnala anche l’incerta consistenza epistemologica, fumosa almeno quanto quella della TOE (Theory of Everything).

Converrà, dunque, ritornare, ancora una volta, alla domanda fondamentale: che cosa significa cittadinanza oggi?

Da quando, a partire dall’epoca dell’assolutismo, i Re e Principi sono diventati gradualmente “Capi di Stato” e i sudditi si sono trasformati in “Sudditi di Stato” con Federico II di Prussia e in “Cittadini di Stato” dalla Rivoluzione francese e da Napoleone in avanti, ai sistemi di istruzione è stata affidata la missione di riprodurre incessantemente una sempre più solida sudditanza/cittadinanza. Il sistema di istruzione è diventato il motore della costruzione dello Stato nazionale. Si trattava di formare sudditi/cittadini, lavoratori e soldati. Sul campo di battaglia di Sédan, appunto, come osservò la Civiltà cattolica dell’epoca, aveva vinto il maestro prussiano. L’intera istruzione era Educazione civica. Questa filosofia dell’Istruzione come Educazione civica ha ispirato il sistema di istruzione sardo-piemontese, poi esteso da Gabrio Casati all’intero Stato unitario. Giovanni Gentile ha reso rigorosa e coerente quella impostazione.

Occorre prendere atto che la Repubblica non è riuscita a costruire con lo stesso rigore e coerenza “la cittadinanza repubblicana”.

Le cause, schematicamente elencando, sono almeno tre.

Una, indagata dagli storici, ma anche controversa, è quella della “perdita della patria” o, almeno, della caduta del senso di stato-nazione che prima la classe dirigente liberale e poi quella fascista avevano tentato di inculcare.

Una seconda è quella dei processi di modernizzazione, di laicizzazione e di secolarizzazione, che hanno progressivamente separato “il cittadino” da “l’individuo-persona”. Cioè: l’istruzione serve in primo luogo a costruire se stessi, a trovare una propria strada nel mondo. Di questa tendenza ha preso atto – e l’ha anzi teorizzata – il Rapporto triennale Education at a Glance dell’OCSE, che nel 2006 è stato significativamente intitolato “Schooling for Tomorrow: Personalizing Education”. Lemmi quali “individualizzazione” e “personalizzazione” “Piano di studi personalizzato” sono passati dai testi pedagogici a quelli legislativi.

Una terza: nel contesto della globalizzazione geopolitica, commerciale, culturale e mass-mediatica, è venuto modificandosi il profilo della cittadinanza, sempre meno costretto dentro i confini e l’idea dello Stato-nazione. L’insorgenza di pulsioni sovraniste non ha certamente spinto ad un recupero dell’”educazione nazionale”, per la ragione che il sovranismo di oggi è ben diverso da quello liberale e fascista. Non c’è nessuna corsa a dare oro e figli numerosi alla Patria. Permane irreversibile un individualismo di fondo, che eventualmente rivendica assistenza e protezione dallo Stato, ma non è disposto a dare nulla in cambio.

3. Come educare alla nuova cittadinanza?

Tra le nuove generazioni si sta affermando una coscienza di cittadinanza “glocal”. Essa muove dai contesti locali, ma è aperta alle questioni globali; evoca interrogativi drammatici relativi alla sopravvivenza della specie homo sapiens, messa a rischio dalla geopolitica, dalla demografia, dall’inquinamento della terra, dell’aria, dell’acqua. L’irruzione del Covid-19 ha accentuato il senso di finitezza dell’individuo e di finitudine della specie, provocando due reazioni opposte: da una parte, la percezione di un destino comune, che genera atteggiamenti di solidarietà e di aiuto; dall’altra paura dell’altro, fuga e ricerca di protezione.

Alle generazioni che oggi vivono nelle nostre scuole – alle quali le previsioni biostatistiche assegnano un’attesa di vita ultracentenaria – si prospettano sfide, che qui si possono solo elencare: le biotecnologie, spinte fino ad una “nuova Genesi”, l’Intelligenza artificiale, la robotica, le nanotecnologie… Per queste generazioni, avvolte da ogni parte dall’Infosfera, è urgente la creazione di un’infrastruttura intellettuale, emozionale ed etica, che l’attuale sistema di istruzione/educazione è sempre meno in grado di offrire.

La formazione della persona è alla base della formazione della cittadinanza. Soccorre qui la straordinaria definizione di San Tommaso: “Persona est rationalis naturae individua substantia”. “Persona” – da “per-sonare” – è la maschera di legno-megafono dell’attore latino di teatro, attraverso la quale passa e si dilata la voce verso l’altro e dall’altro. Individuo non solo come atomo indivisibile e ontologicamente irriducibile, ma come persona. Dunque, l’itinerario di istruzione/educazione muove dalla persona integrale al cittadino.

Prima di inventarsi nuove trasversalità, chiunque abbia sinceramente a cuore l’educazione alla cittadinanza dei sempre meno numerosi giovani Italiani dovrebbe interrogarsi sulla parcellizzazione patologica delle discipline, sull’impossibilità di collaborazione tra i docenti, stante la frammentazione degli orari, sul numero eccessivo di materie, sull’incapacità degli adulti dentro la scuola di essere punti di riferimento educativi, sul fatto che le scuole non riescono a diventare comunità educanti.

Si tratta, pertanto, di modificare profondamente il modello educativo che è ancora quello di Federico II, di Napoleone, di Casati, di Gentile, ricostruendone i quattro pilastri:

1. La tavola dei saperi e dei valori che la generazione adulta intende passare come testimone alle generazioni successive. Essa è stata formalizzata nelle 8 competenze/chiave definite dalla Commissione europea a Lisbona nel 2000 e dal Consiglio europeo nel 2006 fino all’ultima versione del 2018. Sono un intreccio tra “hard skills” – le conoscenze – e “soft skills”. Il Ministro Fioroni nel 2007 sintetizzò in 4 Aree di competenze: Lingua e linguaggi, Storia, Matematica, Scienze. Tuttavia, i vari PECUP, che sono stati volenterosamente elaborati nelle singole scuole, in base alle Linee Guida, si scontrano con la rigidità e l’obsolescenza del modello educativo tradizionale e ne vengono soffocati.

2. L’ordinamento in cicli e in indirizzi (ha ancora senso lo schema 5+3-5? Non sarebbe meglio un 7+5, con uscita a 18 anni?).

3. L’assetto istituzionale, amministrativo e didattico/organizzativo: fine del centralismo ministeriale e del Ministero, autonomia radicale degli Istituti, valutazione esterna.

4. Il personale: formazione, reclutamento, carriera, stato giuridico.

Di queste riforme di sistema, quella del punto n. 3 – l’autonomia organizzativa e didattica degli istituti, già definita dal DPR 8 marzo 1999 – è un passaggio realistico e praticabile da subito. Non c’è bisogno di nuove elucubrazioni legislative.

 

4. Che cosa implica prendere sul serio il principio di personalizzazione quale principio motore dell’educazione/istruzione?

1. Ogni ragazzo deve essere posto nelle condizioni di elaborare un proprio Piano di Studi Personalizzato, in relazione al Piano di studi nazionale/europeo, che è posto come orizzonte di realizzazione della piena cittadinanza per ciascuno.

2. Ogni ragazzo ha bisogno di un tutor, che lo accompagni nell’elaborazione e nella realizzazione del suo piano personale, che ne monitori le tappe, che ne sostenga le correzioni e le modifiche eventuali.

3. La divisione dei ragazzi in classi in base al criterio dell’età non ha senso; le platee didattiche si organizzano per livelli di realizzazione dei piani di studio personali, avendo come orizzonte di paragone e di traguardo il Curricolo nazionale/europeo, che resta l’obbiettivo eguale per tutti e che ciascuno raggiunge in tempi e percorsi differenti.

4. La parcellizzazione coriandolare dei saperi in materie rigidamente separate deve essere sostituita da un’organizzazione di Laboratori per competenze-chiave, che i ragazzi frequentano, in relazione allo stadio di realizzazione dei propri piani di studio.

5. La partizione degli orari di apprendimento/insegnamento non può più essere fatta sulla base delle 18 o 24 ore settimanali, rigidamente partite su 5 giorni. Il monte ore di apprendimento/insegnamento è annuale e deve essere speso in relazione ai tempi didattici scanditi dai Laboratori.

 

Se l’organizzazione del sistema di istruzione/educazione resta quella fordista/taylorista, la somma di piccoli frammenti di educazione alla cittadinanza non riuscirà mai a produrre l’Educazione civica, cioè la persona-cittadino.

Come è evidente, in questa prospettiva, Educazione civica è la risultante delle azioni e relazioni della comunità educante, non è oggetto di una materia/disciplina specifica. E’ il prodotto di un ambiente educativo.

Ma qui le domande rimbalzano, in primo luogo, sugli insegnanti. La loro fatale trasformazione da funzionari gentiliani dell’Assoluto a militanti politici negli anni ’70 a impiegati sindacalizzati dagli anni ’80 in avanti ha fatto perdere, almeno alla maggioranza di loro, la coscienza della propria missione civile.

Rinchiusi nelle proprie classi, nei propri specialismi, nei propri rigidi orari fordisti, nei propri sindacalismi corporativi hanno perso la consapevolezza del proprio ruolo culturale e educativo rispetto alla società civile. A questa caduta di coscienza del ruolo si deve quella dello spirito pubblico in questi ultimi decenni. Non è certo la scuola l’unica imputabile, si intende…

 

 

 

 

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