di Piero Valentini
E’ facile in questo periodo imbattersi in un’infinità di articoli che commemorano e lodano Gianni Rodari, dato che proprio in questi giorni ricorre il centenario della sua nascita.
Sarebbe importante che questa occasione servisse non solo e non tanto a incitare alla lettura delle sue produzioni o a riconoscere la preziosità del suo lavoro non pienamente compresa quando era in vita.
Sarebbe utile invece, almeno in questo momento di picco di attenzione verso Rodari, sganciarsi dalla tentazione di contemplarlo, per provare a dare maggiore importanza al suo contributo per la scuola, per l’apprendimento.
In questo senso rimettere in gioco Rodari. Il suo scopo nelle scuole non era infatti quello di farsi ammirare come scrittore, o quello di vendere e far leggere le sue opere ai bambini come fossero una medicina funzionale alla crescita. Lo scopo di Rodari era dire ai ragazzi che potevano loro stessi inventare storie. Che nella società dell’intrattenimento potevano essere non solo consumatori. La preziosità di Rodari in questo senso era che il suo contributo non si limitava a essere una esortazione, ma si poneva come una pratica di gioco con le parole e con le storie, una pratica in cui i bambini erano invitati scherzosamente. Non a caso molti dei libri di Rodari raccolgono e cuciono insieme gli spunti che emergevano nei suoi laboratori con i bambini.
E’ per questo, ad esempio, che il racconto “La Torta in Cielo” era ambientato nel mio quartiere. Perchè molte delle trovate erano nate lì nei laboratori con i bambini.
Gianni Rodari era infatti una presenza e un influsso molto familiare nella mia scuola elementare a Roma. Rodari aveva stretto un sodalizio molto proficuo con la mia maestra, Maria Luisa Bigiaretti.
Il risultato principale non era tanto che tutti noi bambini fossimo lettori e conoscitori di Rodari; era piuttosto che giocassimo a costruire e inventare storie con giochi e attività didattiche che, quasi a nostra insaputa, erano state inventate da Rodari.
Si dice che l’unico testo teorico di Rodari sia la “Grammatica della fantasia”. E’ una affermazione parzialmente falsa, perchè quel libro non contiene teorie ma appunto giochi. Quando da grande lo lessi, capii meglio i giochi che facevamo. Erano praticamente spiegati passo passo, e in modo divertente. Il binomio fantastico, prendere parole e frasi, aprirle, scomporle, estrarle dagli insiemi in cui erano inserite e provare ad associarle ad altri elementi inconsueti. Fargli creare scompiglio, vedere cosa ne usciva fuori e dargli un senso raccontandolo. Individualmente e in gruppo.
Col tempo questa pratica mi sembrò abituarci al gusto di vedere le parole e i concetti non solo per quello che sono ma per quello che potrebbero essere.
Per traslazione la stessa competenza poteva spostarsi dalle parole alle cose. Non prenderle solo per quello che sono, per come ci sono inizialmente proposte, ma guardarle in altri modi, sperimentare nuove associazioni per vedere cosa potrebbero essere. Prenderle, smontarle, guardarle da angolazioni nuove, metterle in mano a soggetti inconsueti, in contesti nuovi, combinarle in modi inattesi, ad altri elementi e ad altri bisogni (non a caso Rodari andava così tanto d’accordo con il designer Bruno Munari). Si tratta di un approccio che può essere particolarmente utile in un’epoca, la nostra, che si pensa come caratterizzata dall’ incremento della portata dei cambiamenti e dall’aumento della velocità con cui questi si susseguono e intrecciano. L’approccio suggerito quasi scherzosamente da Rodari, può portare a non essere semplicemente investiti dalle innovazioni ma a esserne innovatori.
Per questo diceva Rodari, non bisogna limitarsi a essere lettori di storie ma occorre sentire la legittimità e il piacere di poterne essere inventori. Per farlo bisogna rimettere in gioco il contributo di Rodari. Anche perchè in fondo non è difficile, anzi è un gioco da bambini.
Per chi ha voglia di leggere ancora su questo argomento:
- Gianni Rodari, “Grammatica della fantasia. Introduzione all’arte di inventare storie”, Einaudi, 1973.
- Maria Luisa Bigiaretti, “La scuola anti tran tran”, Nuove Edizioni Romane, 2006.
Nessun commento